Emergenza abitativa: dal Governo un pacco vuoto sotto l’albero

Ma a livello locale non tutte le armi sono spuntate, si può intervenire sui canoni concordati

La Legge di Bilancio approvata dal Consiglio dei Ministri non prevede fondi sufficienti per affrontare la grave emergenza abitativa che colpisce migliaia di famiglie italiane. Nonostante le recenti mobilitazioni promosse da SUNIA, CGIL e SPI sul diritto alla casa, è stato approvato in Commissione Bilancio della Camera un emendamento che stanzia appena 10 milioni di euro per il 2025 e 20 milioni per il 2026. Questa misura è insufficiente: in Emilia-Romagna, ad esempio, si prevedono circa 800.000 euro, una cifra esigua rispetto ai 1.340 sfratti eseguiti nel 2023, con un aumento atteso nel 2024. Con i fondi stanziati, sarà possibile affrontare solo il 20% dei casi, lasciando le restanti famiglie senza alternative.

In provincia di Rimini, nel 2023, secondo i dati del Ministero dell’Interno, le richieste di esecuzione di sfratto, sia per morosità incolpevole sia per finita locazione, sono state 1.009, e 113 sfratti sono già stati eseguiti. Il numero delle domande in graduatoria in attesa di assegnazione di un alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) nella provincia ammonta a 2.966. Le domande di contributo per l’affitto presentate da famiglie a basso reddito e meno abbienti nel corso del 2022 sono state circa 6.000; per effetto della cancellazione del relativo Fondo nazionale da parte del Governo Meloni, queste famiglie rimarranno prive di ogni sostegno. È verosimile ritenere che, a consuntivo 2024, i dati sopraccitati – a causa della scelta di azzerare le politiche statali per contenere l’emergenza abitativa – potrebbero rivelarsi ancora più gravi.

Anche la Corte dei Conti ha riconosciuto che la scarsità di immobili disponibili per la locazione, soprattutto nei grandi centri, è un problema crescente che favorisce l’innalzamento dei canoni. Va ribadita l’urgenza di un grande Piano di edilizia residenziale pubblica e sociale, con finanziamenti adeguati e duraturi inseriti nella programmazione ordinaria di Regioni e Comuni, che garantisca il recupero di alloggi non utilizzati e la realizzazione di nuove unità abitative, partendo dal patrimonio immobiliare pubblico dismesso, inutilizzato o con funzioni non più attuali, potenziando e progettando soluzioni all’interno di più ampi processi di rigenerazione urbana. La Legge regionale 24/2017, pur non consentendo in generale l’edificazione di nuove aree residenziali, esclude da tale vincolo quegli interventi di edilizia residenziale sociale di cui c’è così grande bisogno.

Per quanto riguarda il costo dell’abitare, si calcola che l’abbordabilità degli alloggi, cioè l’incidenza del costo dell’abitare sul reddito disponibile, non debba superare la soglia del 30%. Oggi siamo lontani da questa soglia e, se il Governo non interviene, si può comunque agire a livello locale rivedendo gli accordi sul canone concordato, che hanno visto un incremento del 13% a causa dell’inflazione (parametrata all’indice ISTAT). Perché non “depurare” i canoni concordati dall’inflazione? Per comprendere gli effetti di questa proposta, prendiamo a esempio gli affitti della fascia costiera tra Rimini, Cesenatico e Cervia. Simulando il canone concordato di un appartamento arredato di 85 mq in zona pregiata, la fascia massima di canone risulta essere: per Rimini € 897,28, per Cesenatico € 635,38, per Cervia € 670,32. Per un appartamento di 60 mq in zona semicentrale: Rimini € 675,99, Cesenatico € 448,50, Cervia € 479,04. Depurando l’ISTAT maturata del 12,61%, avremmo per Rimini € 763,60 per 85 mq e € 600,30 per 60 mq.

Come si vede, esistono strumenti che – seppur non risolutivi – possono calmierare il mercato degli affitti. Perché non utilizzarli? Per questo sollecitiamo i Comuni a convocare gli appositi tavoli tra le parti interessate per rivedere gli accordi territoriali.

Rimini, 20/12/2024

CGIL Rimini – SPI CGIL Rimini – SUNIA Rimini

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