Rimini, 8 giugno 2024
Carissima iscritta, carissimo iscritto,
il 27 e il 28 maggio la FLC Cgil era a Brescia alle celebrazioni del 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia.
Come acclarato dalla sentenza definitiva del 2017, i mandanti di quella strage – 8 morti e oltre 100 feriti – Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi erano militanti di Ordine Nuovo, organizzazione neofascista che si muoveva nell’ambito delle azioni eversive rientranti nella “strategia della tensione” volte a minare le basi della nostra Repubblica democratica.
Dopo due giorni trascorsi a Brescia, dove la FLC ha organizzato un convegno dal titolo “Non potevano essere che lì” ed è stata protagonista attiva delle celebrazioni insieme alla Camera del Lavoro di Brescia, CISL, UIL, Anpi, La Casa della Memoria e diverse decine di associazioni del territorio per ricordare quelle vite spezzate di cui 5 di insegnanti iscritti alla Cgil, ritengo doveroso scrivervi alcune righe nel tentativo di condividere con tutti voi il portato di impegno e memoria di queste giornate.
E’ infatti necessario per ciascuno: “Conoscere, capire, ricordare per evitare che ancora oggi eventi tragici causino il dolore di alcuni e la vergogna di molti” [Don Corazzina parroco di Brescia e voce narrante delle celebrazioni] Profondamente incisive le parole di Manlio Milani che in quella strage perse la moglie: “Quelle non sono state solo vittime innocenti ma morti consapevoli. Consapevolmente erano in piazza quella mattina del 24 maggio 1974 per manifestare contro una serie intollerabile di aggressioni fasciste volte a mettere a tacere il pluralismo delle idee e delle battaglie sindacali. Quelle persone erano lì pacificamente per rivendicare pacificamente il diritto di parola e opinione, per l’autodeterminazione dei lavoratori e delle donne. Il lavoro svolto dalle associazioni dei familiari delle vittime non è stato solo quello della ricerca incessante della verità e della giustizia ma anche quello del dialogo con gli attentatori per un confronto, anche difficilissimo e sofferto, per lavorare sulla memoria. Non una memoria condivisa, in quanto non è possibile una memoria condivisa tra un repubblichino e un repubblicano, ma entrambe sono necessarie per un processo di elaborazione collettiva volto a costruire una memoria comune capace di fare i conti con il passato.”
La verità giudiziaria oggi raggiunta dopo depistaggi, omissioni, a mano di interventi di corpi deviati dello stato che non hanno onorato il dovere di lealtà e servizio alla Repubblica è segno inequivocabile della volontà dello Stato e della società civile di perseguire la ricerca instancabile della giustizia attraverso gli ordinamenti repubblicani senza mai cedere a quella violenza che quella fiducia nello Stato voleva minare per farne cedere le fondamenta. Sono le parole di Sergio Mattarella.
E anche quando quelle verità sono – purtroppo – parziali perché ancora non in grado di far uscire pienamente dal cono d’ombra di quegli anni i complessi e articolati meccanismi della strategia della tensione, è in corso il processo a carico degli esecutori materiali, sono in ogni caso verità importanti che segnano un punto definitivo sulla condanna delle organizzazioni neofasciste e una tappa fondamentale per le responsabilità ancora da acclarare. [Benedetta Tobagi]
La ricerca della verità è un dovere della Storia ed è l’unico modo ed è necessaria per un paese che fatica a fare i conti con il proprio passato. [Gianna Fracassi]
Se il presidente Mattarella ha voluto rivolgersi in primis agli studenti delle scuole di Brescia raccolti nel Teatro, dopo aver omaggiato i caduti in piazza deponendo una corona di fiori, è perché oggi, come allora, i giovani sono la chiave fondamentale del nostro futuro per i quali i valori della Costituzione repubblicana devono essere il faro che illumini le rotte delle esistenze di tutti e di ciascuno nei porti sicuri della tolleranza, del rispetto, della partecipazione della solidarietà della pace e della giustizia sociale. [Landini]
Noi donne e uomini di scuola non possiamo non condividere il contributo di Massimo Baldacci: l’educazione o è antifascista non è. E questo perché semplicemente il fine ultimo della formazione è quello di permettere agli individui di giudicare chi comanda e questo in netta opposizione al principio fascista di obbedire, obbedire sempre. Dunque la scuola tutta ordine è disciplina contravviene all’assunto che la cultura è in sé e per sé stessa ribelle e antidogmatica. E gli insegnanti non possono che essere partigiani, chiamati cioè a prendere parte. Se è vero che rischiamo di scivolare dal fascismo storico al fascismo eterno [Umberto Eco] occorre che ci sia una resistenza permanente.
Il ragionamento proseguito, articolato, ampliato dal contributo di Tomaso Montanari ha voluto ribadire che la Costituzione, non a caso, ha previsto la libertà e l’autonomia delle Università che non possono e non devono essere assoggettate al potere politico. Scuola e Università non devono formare ‘capitale umano’, ‘pezzi di ricambio per il mondo lavoro, ma dare strumenti per abitare il pianeta. Lo stesso Don Milani sosteneva che la scuola non doveva formare la classe dirigente ma una massa cosciente capace di ribaltare i rapporti tra popolo e capo. All’accusa che gli intellettuali siano racchiusi in una torre d’avorio che li pone ad incolmabile distanza dalla realtà risponde con le parole di Erwin Panofsky: “Se gli intellettuali stanno in una torre d’avorio non sono lì per godersi l’avorio ma proprio perché su una torre sono in grado di gettare lo sguardo più lontano degli altri e di dare l’allarme.”
Concludo queste poche righe che con moltissimi limiti hanno cercato di interpretare e sintetizzare messaggi e stimoli e riflessioni profondissimi di questi due giorni.
Essere educatori, oggi come ieri, significa essere antifascisti, tenere ben salde le radici nei valori fondanti la nostra Costituzione. Oggi come ieri per essere antifascisti non basta dichiararsi tali, significa incarnare il rispetto e la tolleranza, ascoltare chi ha idee, culture, religioni, valori, altri da noi senza paura della diversità, rifuggire il populismo di chi vende soluzioni facili a problemi difficili, uscire dal recinto della propria confort zone per accogliere la sofferenza altrui, richiedere giustizia ed equità non solo per sé stessi ma per tutti, agire solidali e sempre cercare di conoscere, capire, interpretare e distinguere: non è vero che destra e sinistra sono uguali. Occorre oggi più che mai ribaltare il paradigma per il quale siano gli uomini a fare la politica mentre è la politica a fare gli uomini. Le idee, i valori, i riferimenti culturali non sono indifferenti, permeano le nostre azioni. Quotidianamente. Nonostante sia stata proclamata la morte delle ideologie, ancora, anche se forse in modo più sfumato e perciò pericoloso, esse orientano le azioni e il potere.
Oggi come allora noi donne e uomini della scuola “non potevamo essere che lì” a presidio della democrazia, della convivenza civile, dell’umanità.
Simonetta Ascarelli
Segretaria Generale Flc Cgil Rimini