Le politiche del Governo contribuiranno ad allontanare i giovani dal mercato del lavoro, si continuerà a “non trovare personale”. Quale favola sarà raccontata questa volta per giustificare la situazione?

I numeri dicono che il nostro territorio subirà maggiormente le scelte sbagliate decise a Roma: serve un cambio di rotta o le contraddizioni del modello economico riminese esploderanno

Uno spettro si aggira per il Paese: lo spettro dei giovani, che assieme a quello delle fasce di popolazione con fragilità, si materializza ciclicamente – quasi sempre in maniera distorta – nel dibattito pubblico. A fasi alterne, infatti, giovani e povertà sono stati oggetto di attenzioni morbose da parte di certa politica e imprenditoria nostrana avvelenando l’analisi dei fenomeni: mammoni, generazione divano, senza voglia di lavorare. Per non parlare di chi – pur in un contesto che in Italia ha visto il peggioramento del quadro macroeconomico e con esso l’aumento della povertà assoluta – ha beneficiato del Reddito di Cittadinanza: questi ultimi sono stati infatti additati alternativamente come male assoluto del mercato del lavoro (“non si trova personale”) o causa del lavoro nero (le imprese vorrebbero stare nelle regole ma sono i lavoratori a chiedere il nero..). Sia per il caso dei giovani che per quello della povertà, il meccanismo utilizzato per alimentare questa propaganda è il solito: tralasciare le analisi ed affidarsi a singoli casi per poi generalizzare il giudizio. Ma i nodi vengono al pettine; per questa ragione una serie di crescenti fragilità sociali – se non si dovesse uscire dalla soap-opera della propaganda governativa, per affrontare il mondo reale – rischiano di esplodere con maggior deflagrazione proprio a Rimini, dove il quadro economico e demografico, in sintesi sociale, è già portatore di numerose serie criticità.

Abitare e studiare in un territorio che consuma suolo ma senza riuscire a dare risposte adeguate ad un bisogno primario: un tetto sulla testa | Secondo l’IRES (Istituto Ricerche Economiche Sociali) dal 2006 al 2021 in provincia di Rimini si sono consumati 400 ettari di suolo (+ di 400 campi da calcio); eppure, vivere nel riminese sta diventando diffcile sia per quanto riguarda l’acquisto che l’affitto di una casa. In sostanza l’aumento di “costruito” (residenziale) non ha sgonfiato un mercato immobiliare che vede nel fenomeno turistico la principale criticità per chi decide di vivere e costruire il proprio futuro in provincia di Rimini. Se a livello locale le strade da perseguire possono essere – tra le altre – quelle di un forte disincentivo agli affitti brevi a scopi turistici ed un riutilizzo sociale del patrimonio immobiliare pubblico in disuso, innanzitutto quello che proviene da confische alla criminalità organizzata, va detto che a livello nazionale il Governo non sta predisponendo misure urgenti volte ad aumentare il patrimonio abitativo sociale di tipo ERP e ERS; che dovrebbe vedere per i territori a vocazione turistica una particolare attenzione. SUNIA CGIL ha chiesto da settimane un incontro al Governo senza ricevere risposta. In tema di diritto allo studio l’utilizzo di fondi pubblici per costruire studentati che poi saranno gestiti da privati che, come sta già succedendo oggi, hanno la spregiudicatezza di proporre agli studenti «privi di mezzi» affitti insostenibili è inaccettabile. Su questo tema, da parte del Governo, non c’è alcuna chiarezza. Se, come sembra, il Fondo Housing Universitario sarà destinato esclusivamente ai privati senza alcun vincolo legato al diritto allo studio, ci troveremmo di fronte ad una grave lesione del diritto allo studio sancito dalla Costituzione. In questo senso, anche a Rimini, CGIL sostiene le giuste rivendicazioni che stanno emergendo con forza dal mondo studentesco.

Sopravvivere e lavorare | Un territorio, quello riminese, nel quale proprio la fascia di età tra i 15 e 34 anni è quella che nell’ultimo decennio ha subito un forte calo. E’ ancora una volta IRES, con l’Osservatorio sull’economia e il lavoro della provincia di Rimini, a registrare un -10% di giovani residenti, che nel 2012 rappresentavano il 28,9% della popolazione mentre nel 2022 sono scesi al 19,4% (-2.422 unità): un dato sotto la media nazionale ed europea.

Del resto, come immaginare un progetto di vita (o di studio) in una provincia in cui le retribuzioni medie giornaliere sono le più basse della Regione (€ 80,5 a Rimini contro € 97,8 come media regionale) e dove se sei donna percepisci ancora meno (€ 67,7 a Rimini contro € 80,1 a livello regionale)? La decisione del Governo di ampliare l’utilizzo dei “voucher” e di ridurre significativamente la platea dei percettori di Reddito di Cittadinanza (-40% a livello nazionale) si abbatterà su un territorio che invece avrebbe beneficiato di un rafforzamento di quest’ultimo strumento seguendo le raccomandazioni della “Commissione Saraceno”, che aveva chiaramente individuato le lacune da colmare per potenziare le politiche attive e coprire fasce di povertà finora escluse dal RdC. La provincia di Rimini vanta il non lodevole primato di essere l’ultima in Emilia-Romagna per reddito medio imponibile dichiarato (€ 18.508,90 contro € 22.626,81 – dati 2021) e quella in cui il 46,1% degli imponibili è sotto € 15.000: è facile intuire che i voucher amplieranno i fenomeni di lavoro nero ed irregolare ed impoveriranno ulteriormente lavoratori stagionali e riminesi. Certo questo non varrà per tutti i riminesi: quelli che pagheranno i lavoratori con i ticket da cambiare in tabaccheria si arricchiranno; ma proprio questo pare essere il segno di un Governo che ha scelto molto chiaramente da che parte stare.

Camera del Lavoro Territoriale – CGIL Rimini

Rimini 12/5/2023

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In un contesto come quello riminese, dove il 76,7% delle assunzioni avviene attraverso contratti a tempo determinato, il provvedimento varato da maggioranza e Governo è di una pericolosità incredibile. Andando a completare le disposizioni di precedenti provvedimenti (D.l.48/2023 convertito in L.85/2023) il Governo ha di fatto destrutturato le tutele incrementando il lavoro precario: saltano le causali, ovvero il contratto a tempo determinato può essere rinnovato a totale discrezione del datore di lavoro e non esiste più alcun obbligo di stabilizzazione.