Comunicato stampa. Il territorio di Rimini è stato terreno fertile per un marchio che ha costruito in quarant’anni una posizione da leader nel settore della calzatura comoda a elevata qualità. All’apice del successo, la Valleverde contava 270 dipendenti con 1.700 punti vendita nel mondo, con una produzione di circa due milioni di calzature.
La crisi
Tutto questo incomincia a frantumarsi nel 2009, quando la crisi internazionale, con la conseguente riduzione dei consumi, diventa motivo, o meglio pretesto, per presentare un piano di rilancio basato sul ridimensionamento del personale dipendente e una politica di delocalizzazione; questo si legge nei documenti del piano industriale Valleverde 2008/2011: “…si ridurrà l’incidenza della produzione interna diretta e si incrementerà la produzione indiretta delocalizzata sia in Italia, sia soprattutto all’estero…” e ancora: “…si è avviato un piano di contenimento dei costi, in virtù di un processo di ristrutturazione produttiva rivolto ad un deciso incremento delle produzioni delocalizzate all’estero…”.
Anni in cui il valore della produzione era passato da €112 milioni del 2002 a €74 milioni del 2009.
È trascorso davvero tanto tempo da quando in tv la scarpa comoda era pubblicizzata da Kevin Kostner, Julia Roberts, Miss Italia o Pelè; quasi €7 milioni erano investiti in pubblicità nel 2007, pari all’8% del fatturato.
Dal 2009 sono accadute tante cose, perdite consistenti di posti di lavoro, cessione d’azienda, fallimento societario, processo penale nei confronti del patron Armando Arcangeli, gestione da parte del Tribunale di Rimini, sino all’acquisto fuori asta avvenuto nel maggio del 2015 da parte dell’azienda Silver 1 Srl costituitasi il 6 maggio 2015.
In questi oltre otto anni ognuno, a suo modo, ha colto del marchio Valleverde tutto ciò che poteva, a discapito dei posti di lavoro, che abbiamo difeso strenuamente, a discapito del territorio e anche dei piccoli artigiani indiretti. Ognuno ha pensato di potersi appropriare della sua linfa vitale senza pensare alle disastrose conseguenze. Ognuno si è arricchito a danno del più debole, di chi in quest’azienda e per quest’azienda pensava di poter onestamente lavorare.
La trattativa
La Filctem CGIL e la Femca CISL si sono ritrovate per oltre tre mesi a trattare al tavolo istituzionale presso la Regione Emilia Romagna il ritiro della procedura di chiusura dello stabilimento di Coriano da parte della Silver 1, dopo solo due anni e ½ dall’acquisto. Certamente lo stabilimento produttivo non ha più la grandezza di un tempo e non ci sono più gli oltre 200 dipendenti ma 33 tra operai e impiegati, eppure per noi che l’abbiamo vista nascere negli anni 70, è difficile dover ammettere che quel progetto di delocalizzazione produttivo all’estero iniziato nel 2009, oggi potrà definitivamente essere attuato, trasformando la scarpa Valleverde in un prodotto che non potrà più essere definito “made in Italy”. La Silver 1 non era certamente presente nel piano industriale Valleverde di otto anni fa, ma può ritenersi “soddisfatta” nell’aver portato a compimento un disegno che parte da lontano.
Nella lettera di apertura dei licenziamenti collettivi da parte di Silver 1 si legge: “…l’attività aziendale è articolata per il 92% in attività commerciale e per il restante 8% in attività produttiva. L’attività commerciale consiste nell’acquisto della calzatura da uomo e da donna, prodotte soprattutto in paesi dell’Est Europa e in Estremo Oriente e nella vendita al dettaglio di questi prodotti assieme agli articoli della produzione di Coriano”.
Le conseguenze del Job’s Act
Con amarezza occorre costatare che il marchio fa gola più dei posti di lavoro e più del rilancio della produzione nello stabilimento di Coriano. Ad aggravare la situazione è la rabbia per le conseguenze del Job’s Act e quindi del contratto a tutele crescenti a cui appartengono tutti i 33 dipendenti attuali della Silver 1.
Recentemente il giudice Maria Giulia Cosentino del Tribunale di Roma, sezione lavoro, nell’ambito di una sentenza, si è espressa sul Job’s Act sostenendo che “le norme in esso contenute, non rivestono carattere compensativo né dissuasivo, avendo anche conseguenze discriminatorie”. Sostiene, inoltre che “…al diritto al lavoro, valore fondante della Carta Costituzionale, viene attribuito un controvalore monetario irrisorio e fisso, eliminando la discrezionalità valutativa del giudice. Purtroppo i licenziamenti illegittimi, disposti in seguito allo sgravio contributivo, costituiscono un “affare” per il datore di lavoro… visto che la gravità dell’illegittimità è fissa ed equivale ad un’indennità immodificabile”.
Conclusione
La vertenza sindacale è terminata il 15 febbraio 2018 con un accordo presso l’Agenzia per il Lavoro della Regione Emilia Romagna. L’accordo prevede il mantenimento presso lo stabilimento di Coriano di 8 dipendenti e, per i restanti, un risarcimento economico tre volte superiore a quello che avrebbe previsto il Job’s Act in giudizio, un investimento economico da parte dell’impresa sulla politica attiva di ricollocamento di ciascun dipendente fuoriuscito e il diritto di precedenza per i prossimi 24 mesi qualora la società dovesse effettuare delle assunzioni.
Nonostante la certezza di aver utilizzato tutti gli strumenti a disposizione del sindacato, grazie anche al sostegno che non è mai mancato della Regione Emilia Romagna e del Sindaco di Coriano, dobbiamo però constatare che per alcuni imprenditori la tutela dei posti di lavoro e la valorizzazione del territorio non hanno alcun peso.
La Valleverde, come l’Embraco, come tante altre aziende che hanno puntato tutta la loro competitività sui costi di produzione delocalizzando e sfruttando la manodopera a basso costo, dovrebbero interrogare la nostra classe dirigente su quanto siano inutili gli incentivi a pioggia nei confronti delle imprese, mentre il vero investimento dovrebbe essere rivolto al lavoro stabile e di qualità.
Per Filctem Cgil Rimini il Segr. generale Francesca Lilla Parco
Per Femca Cisl Romagna Cristian Fabbri
Rimini 1 marzo 2018