Rimini, 09 febbraio 2017 | Cari lavoratori, come sapete in data 30 dicembre 2016 la Direzione di Banca CARIM ha informato le Organizzazioni Sindacali dell’avvio di una nuova procedura ai sensi degli artt. 17 e 20 del CCNL, analoga a quella aperta poco meno di due anni fa e conclusasi con l’accordo del 14 luglio 2015.
La Direzione ha manifestato la volontà di intervenire sui costi del personale, ritenuti eccessivi, con una riduzione degli organici e con l’intendimento di intervenire sul secondo livello di contrattazione (CIA). Questo per favorire, a suo dire, la redditività.
In Italia il settore del credito attraversa difficoltà come mai prima. Non c’è dubbio che la crisi ed i conseguenti crediti deteriorati siano il problema. Lo sono per CARIM come per altri istituti di credito. Ma qualcosa non ci torna. Dopo l’accordo del 2015 eravamo “alla svolta”, eppure oggi come ieri ci ritroviamo a trattare le migliori
condizioni per decrescere.
A nostro avviso il problema che affligge la banca non è la rigidità dei costi fissi, e in particolare, di quelli del personale, né tantomeno la supposta modesta produttività pro capite. Questi, semmai, sono effetti consequenziali. Come si evince dai media il problema vero, al di la dei manager che si sono succeduti, è costituito dalla
sottocapitalizzazione della banca che si declinerebbe, stando sempre a quanto riportano (senza smentita della banca) i giornali in un Tier 1 ratio pari a 6,97 contro il 9,30 assegnato dall’Organo di Vigilanza.
E qui s’innesca il circolo vizioso: poco capitale, meno impieghi, meno ricavi e minori utili. O addirittura perdite dopo aver rettificato crediti deteriorati.
Tale deficit patrimoniale ha già determinato la riduzione degli impieghi e di conseguenza delle marginalità. Sono note a tutti, in tal senso, le operazioni di derisking sulle grandi esposizioni effettuate nel corso del 2016, la sistematica riluttanza ad erogare nuova finanza e le indicazioni ai direttori di filiale a non riempire i castelletti dello smobilizzo crediti.
A seguito della scorsa procedura scrivemmo una lettera alla Direzione nella quale ci permettemmo di individuare i punti deboli di quel progetto. Siamo rimasti inascoltati e oggi ci pesa dire: avevamo ragione.
La Fisac propose all’allora D.G. Sig. Mocchi, prima al tavolo e poi per iscritto, di ritornare sui propri passi perché convinta che gli strumenti allora individuati per la risoluzione della crisi aziendale fossero non solo inadeguati ma addirittura dannosi per il presente ma anche per il futuro della banca. Ovviamente restammo inascoltati. Ci piacerebbe che oggi, alla luce di quanto sopra esposto e senza la pretesa di avere la soluzione in tasca, non si ripetessero gli stessi errori. Nell’interesse di tutti.
Servirebbe un progetto in grado di dare corpo e spessore alla procedura pendente che, allo stato attuale, rischia ancora una volta di rimandare ad un futuro ancora più incerto la soluzione di un problema divenuto ormai improcrastinabile.
E ci chiediamo, di fronte a questo grave stato di impasse ormai perdurante da un biennio, dove sia e cosa faccia la Fondazione, ossia la proprietà della Banca. Ci chiediamo infatti se la Fondazione sia interessata alle potenziali ricadute occupazionali sul personale, specie quello impiegato in Direzione Generale, se, una volta archiviata la procedura in corso, dovesse intervenire il “cavaliere bianco” tanto invocato. Per quanto ci riguarda la drammaticità della situazione è sin troppo chiara.
Per quanto ci riguarda, oggi come ieri, agiremo con la responsabilità che ci caratterizza stando sempre dalla parte del lavoro; dalla parte dei territori in cui la banca opera. Però, se nel 2015 segnalammo anche formalmente i nostri dubbi, oggi, in una situazione ulteriormente deteriorata, il nostro diritto di critica, costruttiva e propositiva, ci imporrà di fare solo passaggi i cui esiti siano chiari e determinati.
La delegazione trattante
FISAC CGIL